La riforma della disciplina concorsuale, operata dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi e dell’insolvenza: d’ora in poi, per brevità, c.c.i.i.) non sembra, a dire della prevalente dottrina, aver modificato in maniera significativa l’impianto sistematico della «vecchia» legge fallimentare. Anche la nuova disciplina, infatti, risulta incentrata sulla figura dell’imprenditore individuale, quale fattispecie di riferimento per l’applicazione delle previsioni normative, mentre le questioni relative al fallimento – oggi, liquidazione giudiziale – e agli altri istituti concorsuali applicabili alle società risultano trattate ed affrontate avendo a mente le peculiarità dell’ente societario rispetto all’imprenditore individuale. In tale contesto normativo di sostanziale continuità, l’art. 259 del c.c.i.i. rappresenta una importante innovazione in quanto, per la prima volta, il legislatore ha ritenuto di disciplinare la fattispecie della liquidazione giudiziale degli enti collettivi non societari, richiamando una serie di regole dettate per l’ipotesi di liquidazione giudiziale delle società. Se da un lato tale intervento era da tempo auspicabile, le modalità con le quali è stato attuato suscitano non poche perplessità, sia per il drafting legislativo utilizzato sia, soprattutto, per la (discutibile) scelta di richiamare una serie di previsioni dettate per fattispecie societarie ad enti che presentano una dimensione, una funzione ed un assetto per molti profili non comparabile con quello societario. Nel presente lavoro si descrive l’ambito di operatività dell’art. 259 c.c.i.i., nel tentativo di offrire una (prima) analisi volta all’individuazione delle conseguenze applicative della scelta adottata dal legislatore, soprattutto sotto il profilo delle condizioni relative all’estensione della liquidazione giudiziale.

La liquidazione giudiziale degli enti collettivi non societari

Gianluca Tarantino
2023-01-01

Abstract

La riforma della disciplina concorsuale, operata dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi e dell’insolvenza: d’ora in poi, per brevità, c.c.i.i.) non sembra, a dire della prevalente dottrina, aver modificato in maniera significativa l’impianto sistematico della «vecchia» legge fallimentare. Anche la nuova disciplina, infatti, risulta incentrata sulla figura dell’imprenditore individuale, quale fattispecie di riferimento per l’applicazione delle previsioni normative, mentre le questioni relative al fallimento – oggi, liquidazione giudiziale – e agli altri istituti concorsuali applicabili alle società risultano trattate ed affrontate avendo a mente le peculiarità dell’ente societario rispetto all’imprenditore individuale. In tale contesto normativo di sostanziale continuità, l’art. 259 del c.c.i.i. rappresenta una importante innovazione in quanto, per la prima volta, il legislatore ha ritenuto di disciplinare la fattispecie della liquidazione giudiziale degli enti collettivi non societari, richiamando una serie di regole dettate per l’ipotesi di liquidazione giudiziale delle società. Se da un lato tale intervento era da tempo auspicabile, le modalità con le quali è stato attuato suscitano non poche perplessità, sia per il drafting legislativo utilizzato sia, soprattutto, per la (discutibile) scelta di richiamare una serie di previsioni dettate per fattispecie societarie ad enti che presentano una dimensione, una funzione ed un assetto per molti profili non comparabile con quello societario. Nel presente lavoro si descrive l’ambito di operatività dell’art. 259 c.c.i.i., nel tentativo di offrire una (prima) analisi volta all’individuazione delle conseguenze applicative della scelta adottata dal legislatore, soprattutto sotto il profilo delle condizioni relative all’estensione della liquidazione giudiziale.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12606/7948
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