La direttiva sui danni antitrust ha inteso, in primo luogo, reagire ad uno sbilanciamento. Nel panorama europeo, esistono Stati che, grazie a regole processuali e sostanziali favorevoli agli attori, hanno attratto, negli ultimi anni, la maggior parte delle cause per il risarcimento del danno derivante da illeciti antitrust (si tratta, in particolare, del Regno Unito, Germania e Olanda). Da qui l’obiettivo di porre regole comuni a tutti gli Stati membri, così da evitare distorsioni all’interno del mercato unico. Per altro verso, la direttiva ha anche voluto far fronte alla scarsa diffusione delle azioni di risarcimento del danno antitrust in Europa rispetto, ad esempio, all’esperienza statunitense. Sono state, dunque, introdotte disposizioni volte a facilitare le azioni dei soggetti lesi. Si pensi, ad esempio, alle disposizioni sulla divulgazione delle prove o sulle presunzioni di danno in materia di cartelli. Infine, un terzo obiettivo delle disposizioni europee è quello di evitare che lo sviluppo del private enforcement possa avere un impatto negativo sull’applicazione pubblica del diritto della concorrenza. A questo fine, si pongono, ad esempio, limiti alla disclosure dei documenti contenuti nei fascicoli delle autorità. Si tratta, in altre parole, dell’obiettivo di fondare un efficace sistema di enforcement sul coordinamento sinergico del binario privato e di quello pubblico. Da queste considerazioni emerge che la disciplina del private enforcement è, certamente, dettata per la soddisfazione degli interessi individuali al ristoro dei danni subiti; ma, allo stesso tempo, essa persegue un obiettivo di massimizzazione dell’efficacia del controllo antitrust. Le azioni di danno hanno, da un lato, il ruolo di raggiungere quegli illeciti concorrenziali che l’enforcement pubblico non coglie. Dall’altro, anche nei casi in cui un comportamento sia oggetto di una decisione dell’autorità, il successivo risarcimento dei danni può avere significativi effetti di deterrenza. Le azioni dei soggetti danneggiati dagli illeciti antitrust, quindi, rispondono anche ad un’esigenza di interesse generale. Questa seconda funzione del private enforcement è stata particolarmente avvertita nel Regno Unito. Un tema costante nel dibattito inglese sul diritto antitrust è stato quello di assicurare che una parte consistente dell’applicazione del diritto antitrust avvenga per il tramite di risorse private. Questo non solo a causa delle risorse limitate degli organismi pubblici, ma anche per motivi di efficacia del controllo antitrust. E’ stato, infatti, rilevato che i privati si trovano in una posizione migliore rispetto alle authorities per ciò che riguarda l’identificazione degli illeciti e hanno gli incentivi a contrastarli. L’attività di enforcement dei privati, poi, consentirebbe alle autorità pubbliche di concentrare le indagini sulle pratiche di maggiore entità. L’ordinamento inglese, prima della proposta europea, aveva già sviluppato, in maniera più incisiva della direttiva, regole volte a facilitare le azioni antitrust: si pensi alla disciplina della divulgazione delle prove, per la quale non erano previsti molti dei limiti poi imposti dalla direttiva. Esistevano poi disposizioni esclusivamente ispirate ad un interesse pubblico: per esempio, era prevista la possibilità di ottenere danni esemplari per i soggetti lesi. A queste previsioni si sono poi aggiunte le novità delle recenti riforme, volte ad incentivare le azioni antitrust di consumatori e piccole e medie imprese. L’obiettivo del coinvolgimento dei privati nell’enforcement del diritto della concorrenza ha, dunque, fatto del sistema inglese uno dei più favorevoli per i soggetti danneggiati da illeciti antitrust in Europa. Tanto che la direttiva europea, anziché introdurre nuovi incentivi alle azioni in Inghilterra, ha avuto l’effetto di ridimensionare alcuni dei vantaggi tipici della litigation nel Regno Unito

Azioni di risarcimento dei danni antitrust e "forum shopping": il modello UK

CARLO MEO
2017-01-01

Abstract

La direttiva sui danni antitrust ha inteso, in primo luogo, reagire ad uno sbilanciamento. Nel panorama europeo, esistono Stati che, grazie a regole processuali e sostanziali favorevoli agli attori, hanno attratto, negli ultimi anni, la maggior parte delle cause per il risarcimento del danno derivante da illeciti antitrust (si tratta, in particolare, del Regno Unito, Germania e Olanda). Da qui l’obiettivo di porre regole comuni a tutti gli Stati membri, così da evitare distorsioni all’interno del mercato unico. Per altro verso, la direttiva ha anche voluto far fronte alla scarsa diffusione delle azioni di risarcimento del danno antitrust in Europa rispetto, ad esempio, all’esperienza statunitense. Sono state, dunque, introdotte disposizioni volte a facilitare le azioni dei soggetti lesi. Si pensi, ad esempio, alle disposizioni sulla divulgazione delle prove o sulle presunzioni di danno in materia di cartelli. Infine, un terzo obiettivo delle disposizioni europee è quello di evitare che lo sviluppo del private enforcement possa avere un impatto negativo sull’applicazione pubblica del diritto della concorrenza. A questo fine, si pongono, ad esempio, limiti alla disclosure dei documenti contenuti nei fascicoli delle autorità. Si tratta, in altre parole, dell’obiettivo di fondare un efficace sistema di enforcement sul coordinamento sinergico del binario privato e di quello pubblico. Da queste considerazioni emerge che la disciplina del private enforcement è, certamente, dettata per la soddisfazione degli interessi individuali al ristoro dei danni subiti; ma, allo stesso tempo, essa persegue un obiettivo di massimizzazione dell’efficacia del controllo antitrust. Le azioni di danno hanno, da un lato, il ruolo di raggiungere quegli illeciti concorrenziali che l’enforcement pubblico non coglie. Dall’altro, anche nei casi in cui un comportamento sia oggetto di una decisione dell’autorità, il successivo risarcimento dei danni può avere significativi effetti di deterrenza. Le azioni dei soggetti danneggiati dagli illeciti antitrust, quindi, rispondono anche ad un’esigenza di interesse generale. Questa seconda funzione del private enforcement è stata particolarmente avvertita nel Regno Unito. Un tema costante nel dibattito inglese sul diritto antitrust è stato quello di assicurare che una parte consistente dell’applicazione del diritto antitrust avvenga per il tramite di risorse private. Questo non solo a causa delle risorse limitate degli organismi pubblici, ma anche per motivi di efficacia del controllo antitrust. E’ stato, infatti, rilevato che i privati si trovano in una posizione migliore rispetto alle authorities per ciò che riguarda l’identificazione degli illeciti e hanno gli incentivi a contrastarli. L’attività di enforcement dei privati, poi, consentirebbe alle autorità pubbliche di concentrare le indagini sulle pratiche di maggiore entità. L’ordinamento inglese, prima della proposta europea, aveva già sviluppato, in maniera più incisiva della direttiva, regole volte a facilitare le azioni antitrust: si pensi alla disciplina della divulgazione delle prove, per la quale non erano previsti molti dei limiti poi imposti dalla direttiva. Esistevano poi disposizioni esclusivamente ispirate ad un interesse pubblico: per esempio, era prevista la possibilità di ottenere danni esemplari per i soggetti lesi. A queste previsioni si sono poi aggiunte le novità delle recenti riforme, volte ad incentivare le azioni antitrust di consumatori e piccole e medie imprese. L’obiettivo del coinvolgimento dei privati nell’enforcement del diritto della concorrenza ha, dunque, fatto del sistema inglese uno dei più favorevoli per i soggetti danneggiati da illeciti antitrust in Europa. Tanto che la direttiva europea, anziché introdurre nuovi incentivi alle azioni in Inghilterra, ha avuto l’effetto di ridimensionare alcuni dei vantaggi tipici della litigation nel Regno Unito
2017
azione giudiziale
comportamenti antitrust
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12606/11635
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