Per introdurre l’argomento della circolazione della prova tra processo tributario e processi contermini, la sua ammissibilità, le sue ragioni, le modalità del suo operare, l’articolo parte da Carnelutti e dalle sue illuminanti parole sul valore della prova, per poi chiudersi, più prosaicamente, con un riferimento alla nota metafora del doppio binario, valorizzando tuttavia le cosiddette “traversine” ovverossia i listelli che collegano i binari. Da Carnelutti, dunque, alle traversine, in un percorso, come si suol dire, “dalle stelle alle stalle”, che però si confida possa inquadrare efficacemente la tematica da trattare. Carnelutti, oltre un secolo fa, con immagine suggestiva, insegnava che la prova è “un minuscolo cerchio di luce al di là del quale tutto è buio, dietro di lei l’enigma del passato, davanti l’enigma del futuro, quel minuscolo cerchio è la prova”. Quindi, con viva lucidità, Carnelutti ricordava che il processo tende verso la verità, punta ad accertare come si sono realmente svolti i fatti, grazie a quella luce nel buio che è la prova; così, quando un percorso di avvicinamento alla verità viene svolto, nell’ambito di un processo, quando una piccola luce viene accesa, ebbene non si può perdere quella luce, nel passare ad un altro processo, ma si deve tendere a mantenere quel valore, quell’accertamento progressivo della verità. E neppure – si aggiunge - la luce, nel passaggio, deve diventare più fioca… La prova semplicemente deve essere osservata, alias valutata, autonomamente dal giudice del nuovo processo con le “lenti” rappresentate dalle regole probatorie di quel giudizio. Fuor di metafora, dunque, la circolazione della prova tra i processi va consentita perché permette di non disperdere la luce, cioè l’avvicinamento alla verità effettuato. Sempre fuori di metafora, non è auspicabile, e soprattutto non appare necessario - salve le precisazioni che si svolgeranno con riguardo alle prove con efficacia legalmente prestabilita - che la luce diminuisca, che la prova perda la sua efficacia probante a seguito della trasmigrazione in altro processo. Eppure la giurisprudenza, puntualmente, nell’ammettere il passaggio da un processo all’altro, generalmente aggiunge, quasi a mo’ di giustificazione, che comunque essa avrà un valore non di prova piena, ma di “mero indizio” o ancora di “argomento di prova” e che non sarà mai da sola sufficiente ma dovrà essere corredata da altri elementi. Nelle pagine del lavoro, dunque, si svolge una critica a tale ripetuta, inutile, deminutio della efficacia probatoria quale conseguenza, inopinata ma automatica, della trasmigrazione. Naturalmente, come detto, una prova che entra in un diverso processo, dovrà essere valutata dal giudice ad quem, in totale e reale autonomia e soprattutto secondo le regole probatorie per esso previste. In quel senso, si è detto che la luce, la prova, va riguardata con le nuove lenti, che ne regolino la luminosità secondo le norme processuali di quel nuovo giudizio in cui viene inserita, nel caso in esame, il processo tributario. Così, l’immagine di Carnelutti consente di introdurre i profili trattati nel lavoro - e anche di anticipare le soluzioni - e precisamente i profili della ammissibilità, dell’efficacia probatoria e delle regole cui soggiace una prova raccolta in un altro processo e introdotta in quello tributario. Tentando di coniugare circolazione della prova e autonomia di giudizio, si giunge al termine della trattazione a intravedere una soluzione che, come si era anticipato, riprende la nota metafora ferroviaria del doppio binario, di solito utilizzata per parlare del rapporto tra il processo penale e il processo tributario. Si parla di “doppio binario” per fare riferimento a due rette parallele che mai si incontrano e che rappresentano l’autonomia dei due processi, l’autonoma valutazione da parte dei due giudici secondo le regole proprie dei processi. Ora, come noto, i binari sono collegati da piccoli listellini di legno che si chiamano traversine. Ecco, queste traversine esprimono bene il concetto dell’osmosi che ci deve essere tra i processi, che restano sì sempre autonomi – le due rette non si incontrano – ma allo stesso tempo deve esserci uno scambio di materiale, una circolazione, un’osmosi di prove perché quel percorso verso la verità che viene svolto da una parte non vada perso. Concludendo, pare che occorra restituire dignità piena sia alle prove che trasmigrano da un processo all’altro sia al giudice che deve poter valutare in autonomia l’ammissibilità di tali prove e il loro valore secondo le regole del processo nel quale sono inserite, preoccupandosi anche di garantire piena libertà di difesa, possibilità di contraddittorio e parità delle armi alla parte che si vede opporre queste prove che provengono da altri giudizi.

La circolazione della prova tra processo tributario e processi contermini

Caterina Corrado Oliva
2021-01-01

Abstract

Per introdurre l’argomento della circolazione della prova tra processo tributario e processi contermini, la sua ammissibilità, le sue ragioni, le modalità del suo operare, l’articolo parte da Carnelutti e dalle sue illuminanti parole sul valore della prova, per poi chiudersi, più prosaicamente, con un riferimento alla nota metafora del doppio binario, valorizzando tuttavia le cosiddette “traversine” ovverossia i listelli che collegano i binari. Da Carnelutti, dunque, alle traversine, in un percorso, come si suol dire, “dalle stelle alle stalle”, che però si confida possa inquadrare efficacemente la tematica da trattare. Carnelutti, oltre un secolo fa, con immagine suggestiva, insegnava che la prova è “un minuscolo cerchio di luce al di là del quale tutto è buio, dietro di lei l’enigma del passato, davanti l’enigma del futuro, quel minuscolo cerchio è la prova”. Quindi, con viva lucidità, Carnelutti ricordava che il processo tende verso la verità, punta ad accertare come si sono realmente svolti i fatti, grazie a quella luce nel buio che è la prova; così, quando un percorso di avvicinamento alla verità viene svolto, nell’ambito di un processo, quando una piccola luce viene accesa, ebbene non si può perdere quella luce, nel passare ad un altro processo, ma si deve tendere a mantenere quel valore, quell’accertamento progressivo della verità. E neppure – si aggiunge - la luce, nel passaggio, deve diventare più fioca… La prova semplicemente deve essere osservata, alias valutata, autonomamente dal giudice del nuovo processo con le “lenti” rappresentate dalle regole probatorie di quel giudizio. Fuor di metafora, dunque, la circolazione della prova tra i processi va consentita perché permette di non disperdere la luce, cioè l’avvicinamento alla verità effettuato. Sempre fuori di metafora, non è auspicabile, e soprattutto non appare necessario - salve le precisazioni che si svolgeranno con riguardo alle prove con efficacia legalmente prestabilita - che la luce diminuisca, che la prova perda la sua efficacia probante a seguito della trasmigrazione in altro processo. Eppure la giurisprudenza, puntualmente, nell’ammettere il passaggio da un processo all’altro, generalmente aggiunge, quasi a mo’ di giustificazione, che comunque essa avrà un valore non di prova piena, ma di “mero indizio” o ancora di “argomento di prova” e che non sarà mai da sola sufficiente ma dovrà essere corredata da altri elementi. Nelle pagine del lavoro, dunque, si svolge una critica a tale ripetuta, inutile, deminutio della efficacia probatoria quale conseguenza, inopinata ma automatica, della trasmigrazione. Naturalmente, come detto, una prova che entra in un diverso processo, dovrà essere valutata dal giudice ad quem, in totale e reale autonomia e soprattutto secondo le regole probatorie per esso previste. In quel senso, si è detto che la luce, la prova, va riguardata con le nuove lenti, che ne regolino la luminosità secondo le norme processuali di quel nuovo giudizio in cui viene inserita, nel caso in esame, il processo tributario. Così, l’immagine di Carnelutti consente di introdurre i profili trattati nel lavoro - e anche di anticipare le soluzioni - e precisamente i profili della ammissibilità, dell’efficacia probatoria e delle regole cui soggiace una prova raccolta in un altro processo e introdotta in quello tributario. Tentando di coniugare circolazione della prova e autonomia di giudizio, si giunge al termine della trattazione a intravedere una soluzione che, come si era anticipato, riprende la nota metafora ferroviaria del doppio binario, di solito utilizzata per parlare del rapporto tra il processo penale e il processo tributario. Si parla di “doppio binario” per fare riferimento a due rette parallele che mai si incontrano e che rappresentano l’autonomia dei due processi, l’autonoma valutazione da parte dei due giudici secondo le regole proprie dei processi. Ora, come noto, i binari sono collegati da piccoli listellini di legno che si chiamano traversine. Ecco, queste traversine esprimono bene il concetto dell’osmosi che ci deve essere tra i processi, che restano sì sempre autonomi – le due rette non si incontrano – ma allo stesso tempo deve esserci uno scambio di materiale, una circolazione, un’osmosi di prove perché quel percorso verso la verità che viene svolto da una parte non vada perso. Concludendo, pare che occorra restituire dignità piena sia alle prove che trasmigrano da un processo all’altro sia al giudice che deve poter valutare in autonomia l’ammissibilità di tali prove e il loro valore secondo le regole del processo nel quale sono inserite, preoccupandosi anche di garantire piena libertà di difesa, possibilità di contraddittorio e parità delle armi alla parte che si vede opporre queste prove che provengono da altri giudizi.
2021
9788813375874
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12606/8588
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