È possibile che la poesia montaliana sia sulle tracce della terra di Canaan? Pervaso da un pro-fondo «senso dell’arca», Eugenio Montale ha sviluppato un progressivo interesse sin dagli Ossi di seppia e poi nel cuore delle Occasioni e della Bufera e altro – come di recente ha notato la critica più attenta – verso la cultura e la mistica ebraica. Non una ricerca sistematica, né tanto meno dogmatica (vale per lui quello che disse di Kafka, «il simbolo brilla di luce solare e sconfigge ogni interpretazione esclusiva»): eppure nel Femminile cabalistico delle destinatarie della sua lirica (tra cui l’enigmatica figura di Pilar), nel ‘simbolismo autoriflesso’ della sua attività di traduttore e persino nel ruolo di inviato del «Corriere della Sera» (particolarmente nei viaggi in Siria e in Palestina), Montale – novello Zaccheo, «Nestoriano smarrito» – ha intravisto il sacro biblico (ed evangelico), problematizzandolo. L’«iddia che non s’incarna» e il Dio «con la barba» ne sono testimonianza. Ne è testimonianza anche l’orto del Getsema-ni: lì, per ammissione dello stesso Montale, «nemmeno il cuore più indurito può trattenere la commo-zione vedendo la più che bimillenaria lastra di pietra sulla quale il Salvatore, per lunga e ininterrotta tradizione, si adagiò e pianse».

Eugenio Montale. Il tu e la cultura ebraica

Alberto Fraccacreta
2025-01-01

Abstract

È possibile che la poesia montaliana sia sulle tracce della terra di Canaan? Pervaso da un pro-fondo «senso dell’arca», Eugenio Montale ha sviluppato un progressivo interesse sin dagli Ossi di seppia e poi nel cuore delle Occasioni e della Bufera e altro – come di recente ha notato la critica più attenta – verso la cultura e la mistica ebraica. Non una ricerca sistematica, né tanto meno dogmatica (vale per lui quello che disse di Kafka, «il simbolo brilla di luce solare e sconfigge ogni interpretazione esclusiva»): eppure nel Femminile cabalistico delle destinatarie della sua lirica (tra cui l’enigmatica figura di Pilar), nel ‘simbolismo autoriflesso’ della sua attività di traduttore e persino nel ruolo di inviato del «Corriere della Sera» (particolarmente nei viaggi in Siria e in Palestina), Montale – novello Zaccheo, «Nestoriano smarrito» – ha intravisto il sacro biblico (ed evangelico), problematizzandolo. L’«iddia che non s’incarna» e il Dio «con la barba» ne sono testimonianza. Ne è testimonianza anche l’orto del Getsema-ni: lì, per ammissione dello stesso Montale, «nemmeno il cuore più indurito può trattenere la commo-zione vedendo la più che bimillenaria lastra di pietra sulla quale il Salvatore, per lunga e ininterrotta tradizione, si adagiò e pianse».
2025
978-88-229-2397-4
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12606/32905
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