All’alba del ventesimo secolo l’amministrazione perseguiva l’interesse pubblico prevalentemente attraverso l’esercizio del potere autoritativo, destinato ad incidere unilateralmente sulla sfera giuridica dei singoli, rimanendo residuale l’attività privatistica della PA. L’entrata in vigore del testo costituzionale fece emergere la necessità di variegare le modalità di perseguimento delle finalità pubbliche incrementando ove possibile la partecipazione privatistica, intesa quale modalità di perseguimento del principio del buon andamento, nonché quale legittimazione democratica dell’attività amministrativa, in rottura con i previgenti ideali autoritari; il tutto dismettendo, ove necessario e sempre più spesso, la veste autoritativa[1]. Ed invero, l’avvento delle democrazie partecipative e dello stato sociale aveva comportato un nuovo carico di doveri per lo Stato, finalizzati all’innalzamento del livello di benessere dei cittadini, anche l’organizzazione amministrativa si era implementata con nuovi schemi che hanno visto, accanto all’amministrazione statale propriamente detta, anche l’azione di enti pubblici strumentali, dipendenti e controllati dagli organi statali ma formalmente distinti e con un ambito di autonomia d’azione. La moltiplicazione dei compiti affidati allo Stato e la valorizzazione delle autonomie locali hanno determinato il cd. “pluralismo istituzionale” che trova le sue radici proprio nell’impianto costituzionale (art. 2–5-114-118 della Cost.). Per effetto del principio del pluralismo della PA, accanto allo Stato, che è l’ente pubblico per eccellenza, operano altri soggetti dotati di capacità giuridica di diritto pubblico e deputati al perseguimento di finalità di pubblico interesse.

Il principio pluralistico e il modulo societario per l’esercizio di attività pubbliche

Ida Giannetti
2023-01-01

Abstract

All’alba del ventesimo secolo l’amministrazione perseguiva l’interesse pubblico prevalentemente attraverso l’esercizio del potere autoritativo, destinato ad incidere unilateralmente sulla sfera giuridica dei singoli, rimanendo residuale l’attività privatistica della PA. L’entrata in vigore del testo costituzionale fece emergere la necessità di variegare le modalità di perseguimento delle finalità pubbliche incrementando ove possibile la partecipazione privatistica, intesa quale modalità di perseguimento del principio del buon andamento, nonché quale legittimazione democratica dell’attività amministrativa, in rottura con i previgenti ideali autoritari; il tutto dismettendo, ove necessario e sempre più spesso, la veste autoritativa[1]. Ed invero, l’avvento delle democrazie partecipative e dello stato sociale aveva comportato un nuovo carico di doveri per lo Stato, finalizzati all’innalzamento del livello di benessere dei cittadini, anche l’organizzazione amministrativa si era implementata con nuovi schemi che hanno visto, accanto all’amministrazione statale propriamente detta, anche l’azione di enti pubblici strumentali, dipendenti e controllati dagli organi statali ma formalmente distinti e con un ambito di autonomia d’azione. La moltiplicazione dei compiti affidati allo Stato e la valorizzazione delle autonomie locali hanno determinato il cd. “pluralismo istituzionale” che trova le sue radici proprio nell’impianto costituzionale (art. 2–5-114-118 della Cost.). Per effetto del principio del pluralismo della PA, accanto allo Stato, che è l’ente pubblico per eccellenza, operano altri soggetti dotati di capacità giuridica di diritto pubblico e deputati al perseguimento di finalità di pubblico interesse.
2023
l’esercizio di attività pubbliche
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12606/25376
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